Viaggiatrici e paesaggi

di Antonio Canovi – Laboratorio Storia delle Migrazioni
Caterina, nel corso della intervista realizzata a Parigi, dice di “non essere partita in un unico momento”. La sua, in effetti, è da circa 15 anni una storia di spostamenti triangolati tra Francia, Germania e Modena.
Chiara a Parigi c’era arrivata qualche anno prima, con l’idea di fare il classico soggiorno di studi, per tornarsene poi a Bologna; cosa che ha fatto una prima volta, e a intervalli una seconda e una terza, fino a metter su casa e famiglia, nella capitale francese.
Sono storie di vita non inconsuete, nella cosiddetta “generazione Erasmus”, gli studenti e le studentesse che dal 1987 hanno aderito allo European Region Action Scheme for the Mobility of University Students, il programma di mobilità studentesca sostenuto dalla Unione Europea. Sono cifre importanti: circa mezzo milione soltanto gli italiani, con una maggioranza crescente di ragazze, tra le quali – tutte tre “classe ‘92” – Elena, Beatrice e Giulia. Sono state intervistate fra Reggio Emilia e Modena, in concomitanza con le feste natalizie, ma nel corso degli ultimi anni sarebbe stato più facile incontrarle fuori dai confini nazionali, tra i Balcani, il Belgio, il Portogallo.
Migrazioni interne, migrazioni per l’estero: le categorie interpretative in uso presso gli studi migratori non bastano per comprendere, tanto meno per contenere, il portato biografico di queste giovani e giovanissime storie di vita. Le quali si rappresentano con categorie decisamente refrattarie ai perimetri geografici dell’età moderna: non più emigranti, semmai expat, e volta a volta donne libere di indossare un profilo da turista, visitatrice, viaggiatrice, ospite… La natura cangiante di queste traiettorie geografiche è rivelatrice di una proiezione transnazionale: al di là dell’allocazione temporanea, si abita un caleidoscopio di appartenenze.
Occorre domandarsi se tutto ciò trovi qualche corrispondenza con l’ideale illuminista del cosmopolitismo. Sfidare i condizionamenti socioculturali e dirsi “cittadine del mondo” piace molto alle donne, moltissimo alle donne incontrate e intervistate nel corso dei due progetti paralleli qui analizzati: il Piano delle donne e i Saperi delle migranti. Ma non si tratta, come nei secoli passati, di una postura elitaria. La rivendicazione di un esprit cosmopolita diventa presso Dorina – che ha ricevuto la cittadinanza italiana presso la Sala del Tricolore dopo 25 anni di permanenza in Emilia Romagna – motivo per costruire progetti di appaesamento dedicati alle donne immigrate nel paesaggio gastronomico della regione che ha offerto a tutte loro un posto dove stare e nuove aspettative da realizzare. Così Armonela, per la quale Reggio Emilia rappresenta molto più dell’approdo dopo il terribile viaggio in barcone: è oggi il sogno di emancipazione dalla violenza familiare per sé e le sue bambine.
Per Maria e le sorelle Claudia e Lidia l’arrivo in Emilia Romagna corrisponde in verità ad un ritorno, trattandosi di italiane per discendenza familiare. Significativa la scelta del paesaggio in cui abitare: l’Appennino da cui partirono gli avi, così come per Lucia che si appresta ora a risalirvi al termine di un lungo va-e-vieni con il Portogallo.
Le storie di viaggio incontrate e raccolte nel corso di questi progetti – siano tragitti di partenze, arrivi o ritorni – documentano di una urgenza biografica inesausta, pur a fronte delle tante inibizioni socio-culturali, a rappresentarsi corpi e soggetti sessuati liberi e autodeterminati. Sono storie che hanno sfidato i confini della geografia, e al tempo stesso hanno cercato e tuttora si provano ad abitare “nel” paesaggio dove si è scelto di abitare. La documentazione relativa ai quattro laboratori polifemmes generati nel corso del progetto restituisce l’efficacia della metodologia geostorica adottata. Sono altrettanti topos nella memoria dell’Europa: Genk con il lavoro migrante nei suoi sette siti minerari; Reggio Emilia con l’invenzione del welfare municipale; Berlino e Parigi, due capitali che hanno nutrito sogni e incubi del nostro immaginario, a tutt’oggi imprescindibili nella costruzione intellettuale e politica dell’Europa a venire.