Il bagaglio culturale di chi torna

Una memoria collettiva dell’Emigrazione non c’è mai stata, nonostante l’azione di riconoscimento svolta da numerosi enti locali e, in particolare, per l’Emilia Romagna, dalla Consulta degli Emiliano Romagnoli nel mondo. Ancora oggi che l’Italia è la settima potenza mondiale, le centinaia di migliaia di giovani (e meno giovani) che emigrano non fanno notizia, se non come fenomeno generale: sono visti in blocco come “cervelli in fuga” senza distinguere tra gli iperqualificati e chi non ha neanche la maturità, tra chi cerca un riconoscimento professionale e chi solo un lavoro, tra donne e uomini, single e famiglie, nord e sud… Le donne, poi, non sono più quelle che restano a casa in attesa di un ricongiungimento familiare; rappresentano, anzi, la maggioranza degli espatri. Puntare le luci dei riflettori proprio su di loro, ci è sembrato che fosse un modo di lavorare su una tripla alterità (giovane, donna, migrante). Abbiamo intervistato 11 donne che vivono o hanno vissuto all’estero e che sono tornate a vivere o tornano regolarmente e per lunghi periodi in Emilia-Romagna, oppure donne venute da altrove (Romania, Albania) diventate italiane, anzi 100% reggiane.
Sole, ricette, paesaggi, tradizioni ma anche nuove competenze professionali: c’è chi ha scoperto un mestiere, chi invece, soprattutto tra le più giovani, ha potuto finalmente esercitare il proprio. Ma oltre a un riconoscimento, come professioniste e come donne, un’arte di vivere. Quasi nessuna parla di emigrazione, semmai espatrio, piuttosto un modo di abitare l’Europa “liquido”, “endemico”, un “movimento perpetuo”. Quasi tutte ci parlano di libertà rispetto alla pesantezza di archivi mentali e sociali divenuti a un certo punto troppo stretti, di nuovi orizzonti, di saperi che mai avrebbero immaginato. Hanno riscoperto con occhi nuovi e non-nostalgici la propria città, la propria terra. Ecco che allora lavorare sui saperi di queste donne in movimento è un contributo – culturale e sociale – alla propria terra.